10 domande e risposte sul Mes e il Pandemic crisis support
18 min letturadi Carlo Canepa
Dopo le elezioni regionali e il referendum del 20 e 21 settembre, all’interno del dibattito politico italiano è tornata d’attualità una questione spinosa per il governo Conte II: la possibilità da parte del nostro paese di chiedere aiuto al Meccanismo europeo di stabilità (Mes) per far fronte all’emergenza coronavirus.
Il 22 settembre, in una conferenza stampa post-elezioni, il segretario del Partito democratico Nicola Zingaretti ha ribadito la necessità di rinforzare il nostro sistema sanitario con i soldi del Mes, mentre il 24 settembre, in un’intervista con La Stampa, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte si è detto invece «agnostico» sul punto, non sbilanciandosi né a favore né contro il Mes.
Il 30 settembre il capo politico del Movimento 5 stelle Vito Crimi ha però dichiarato a Sky Tg24 che «non arriveremo mai al Mes», definito come «l’ultima spiaggia». Il Movimento 5 Stelle è invece storicamente contrario al sostegno del Meccanismo europeo di stabilità, mentre diversi esponenti di partiti di maggioranza – come Italia Viva e Liberi e Uguali – si sono detti favorevoli. L’opposizione, a parte Forza Italia, è invece compatta nel ritenere inutile e potenzialmente dannoso il Mes.
Ma quali sono le ragioni dei pro e dei contro all’interno di questo dibattito? Conviene chiedere aiuto al Mes, oppure no? Abbiamo risposto alle 10 domande principali sulla questione, per avere un quadro il più possibile chiaro su qual è la posta in gioco.
1. Che cos’è il Mes?
Innanzitutto, facciamo un po’ di ordine sulla natura del Meccanismo europeo di stabilità (European stability mechanism, o Mes).
Il Mes – noto in Italia anche con il nome di “Fondo Salva-Stati” – è un’istituzione finanziaria internazionale nata nel 2012, i cui membri sono i 19 Stati europei dell’area euro. Il suo obiettivo è aiutare i paesi che ne fanno parte qualora si trovassero in una situazione di difficoltà economica.
Il Mes mette a disposizione diversi strumenti di aiuto:
- i prestiti dati in cambio dell’accettazione di specifiche condizioni, come riforme in ambito macroeconomico (art. 16 del Trattato del Mes);
- l’acquisto di titoli di Stato sui mercati primari (art. 17) o secondari (art. 18);
- l’accesso a linee di credito precauzionali (art. 14) di due tipi: la Precautionary conditioned credit line e l’Enhanced conditions credit line;
- i prestiti per la ricapitalizzazione indiretta di istituti finanziari e le ricapitalizzazioni dirette (art. 15).
Dove prende il Mes le risorse per aiutare gli Stati in difficoltà? L’istituzione ha la capacità di emettere titoli sui mercati a condizioni vantaggiose, ossia a tassi di interesse molto bassi, vista la sua solidità finanziaria. I soldi raccolti vengono poi dati in prestito ai paesi che ne fanno richiesta.
Come garanzia per l’emissione di questi titoli, il Mes ha a disposizione un capitale da circa 80,5 miliardi di euro, versato dai suoi 19 membri. L’Italia è il terzo azionista del Mes: ha versato circa 14,3 miliardi di euro nel capitale e detiene il 17,8% delle quote dell’istituzione. Nel complesso, il Mes può contare su un capitale sottoscritto di circa 704,8 miliardi, ma come suggerisce il nome questi non sono soldi che sono già stati versati, ma sono quelli che i membri si sono impegnati a versare in caso di necessità (Figura 1).
Il Mes è inoltre governato da tre organismi principali: al vertice c’è il Boards of governors, dove siedono i ministri dell’Economia e delle Finanze dei 19 Stati membri, ossia i membri dell’Eurogruppo, con a capo il loro presidente, l’irlandese Paschal Donohoe; subito sotto c’è il Boards of directors, con i direttori generali del Tesoro dei singoli paesi; e infine il Management board, con a capo il direttore generale Klaus Regling.
In base al trattato del Mes le decisioni sono prese all’unanimità e, in casi di urgenza, a maggioranza qualificata dell’85% dei voti. Con in mano oltre il 17% delle quote, l’Italia – come Francia e Germania – ha dunque in ogni caso il diritto di veto.
Vediamo adesso perché il Mes è tornato centrale nel dibattito politico italiano con l’emergenza coronavirus.
2. Che cos’è e come funziona il 'Pandemic crisis support'?
Il 9 aprile scorso, a oltre un mese dallo scoppio dell’epidemia di COVID-19 in Europa, l’Eurogruppo – un organo informale che riunisce i ministri dell’Economia degli Stati dell’area euro – ha proposto di utilizzare il Mes, attraverso la creazione di un nuovo strumento, per aiutare economicamente i paesi membri colpiti dal contagio.
I dettagli di questo strumento sono stati decisi sempre dall’Eurogruppo un mese dopo, l’8 maggio, mentre la settimana successiva il Board of governors del Mes ha reso operativo il Pandemic crisis support, la nuova linea di credito che poggia su uno strumento già presente, l’Enhanced conditions credit line (Eccl). Questa è una delle due linee di credito precauzionali che mette a disposizione il Mes e di cui abbiamo fatto un breve cenno in precedenza.
Fino alla fine del 2022, i 19 Stati membri del Mes potranno chiedere l’accesso al Pandemic crisis support, ossia a un prestito per un valore massimo pari fino al 2% del loro Pil del 2019.
Per l’Italia, che nel 2019 ha avuto un Pil di circa 1.788 miliardi di euro, stiamo parlando di un prestito massimo di circa 36 miliardi di euro. Per avere un’ordine di grandezza, questa cifra è pari a poco meno di un terzo della nostra spesa sanitaria nazionale annuale.
In totale, se tutti i paesi dell’area euro chiedessero l’accesso al Pandemic crisis support, sarebbero mobilitate dal Mes risorse complessive fino a 240 miliardi di euro. Ma come vedremo tra poco, c’è dibattito se convenga richiedere questi soldi o se sia meglio, tutto sommato, farne a meno.
3. Per che cosa si possono usare i soldi del 'Pandemic crisis support'?
Il vincolo imposto in sede di trattativa europea a tutti gli Stati membri del Mes è che i soldi del Pandemic crisis support vadano impiegati per spese sanitarie «dirette e indirette» legate all’emergenza COVID-19.
Come si legge nella bozza di piano stilata dalla Commissione europea con cui i paesi possono chiedere il prestito, tra le spese sanitarie «dirette e indirette» sono indicate quelle relative al 2020 e 2021 per interventi, per esempio, di «cura e prevenzione».
La tabella della bozza di piano in cui vanno indicate le spese contiene diversi esempi: i soldi del Mes, tra le altre cose, possono essere usati anche per costi relativi agli ospedali e gli ambulatori, la diagnostica e la ricerca farmaceutica (Figura 2).
«Si tratta di una possibilità di impiego molto vasta», ha sottolineato il 6 luglio a La Repubblica il segretario generale del Mes Nicola Giammarioli. «Ad esempio, va dai vaccini alla ricerca passando per la riorganizzazione della sanità e la ristrutturazione degli ospedali, ai contributi per le case di riposo fino ad un ammodernamento del sistema sanitario sul territorio e dei medici di base».
La Commissione europea avrà poi il compito di vigilare sul corretto utilizzo dei soldi del Pandemic crisis support in spese sanitarie legate all’emergenza coronavirus.
C’è la certezza, o no, che il vincolo sanitario sia di fatto l’unica condizione da rispettare per accedere a questi nuovi aiuti del Mes? Qui si presenta una delle obiezioni più utilizzate da chi in Italia è contrario al Pandemic crisis support.
Secondo gli anti-Mes, sia di destra che di sinistra, i prestiti per l’emergenza coronavirus sono una sorta di “trappola”, con pesanti condizioni – come l’introduzione di riforme strutturali – che si potranno presentare dopo aver ricevuto i soldi. Vediamo quanto è concreta questa ipotesi, prima di analizzare la vantaggiosità economica dei prestiti del Pandemic crisis support.
4. Perché si parla tanto delle condizionalità del Mes?
Come abbiamo già accennato, uno degli strumenti con cui il Mes può aiutare gli Stati in difficoltà sono i prestiti dati in cambio dell’accettazione di specifiche condizioni, come riforme in ambito macroeconomico. Questo è stato il caso degli aiuti dati, per esempio, alla Grecia.
Generalmente, quando si pensa al Mes, si pensa a questo tipo di aiuti – semplificando: “Io Mes ti do i soldi, ma tu paese beneficiario in cambio fai una serie di riforme” – ma in realtà le cose sono più articolate di così.
In generale, il fattore “condizionalità” legato agli aiuti del Mes è presente sia nei trattati europei che nel trattato dell’istituzione finanziaria.
«La concessione di qualsiasi assistenza finanziaria necessaria nell’ambito del meccanismo sarà soggetta a una rigorosa condizionalità», si legge all’art. 136 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, che ha concesso la creazione del Mes.
«L’obiettivo del Mes è quello di mobilizzare risorse finanziarie e fornire un sostegno alla stabilità, secondo condizioni rigorose commisurate allo strumento di assistenza finanziaria scelto», stabilisce invece l’art. 3 del Trattato dell’istituzione finanziaria.
Che l’unica condizione per accedere al Pandemic crisis support sia quella di spendere i soldi per coprire costi sanitari è stata confermata non solo dall’Eurogruppo e dal Mes stesso, ma anche a maggio scorso dalla Commissione europea, con una lettera del vice presidente della Commissione Valdis Dombrovskis e del commissario agli Affari economici Paolo Gentiloni.
Queste conferme sono atti con un valore in primo luogo politico più che giuridico, dal momento che i trattati non sono stati modificati. Ma come ha spiegato nel dettaglio sul sito della Treccani il presidente di sezione del Consiglio di Stato Roberto Garofoli, il quadro normativo è articolato e pieno di sfumature.
I due virgolettati citati in precedenza parlano di «rigorosa condizionalità» e «condizioni rigorose commisurate allo strumento di assistenza finanziaria scelto». Due espressioni abbastanza vaghe, che ammettono insomma una gradualità, in cui può ricadere l’unica condizione imposta dal Pandemic crisis support, ossia di usare i soldi solo per spese sanitarie legate all’emergenza COVID-19.
In ogni caso, come ha sottolineato Garofoli, il Trattato del Mes esclude che un paese che si limita ad aderire a una linea di credito precauzionale – come quella del Pandemic crisis support – debba sottoscrivere «un programma di aggiustamento macroeconomico» come condizione per avere il prestito.
C’è poi un’altra questione che spesso viene citata dagli oppositori del Mes.
In base a un regolamento europeo del 2013 (n. 472, art. 2, par. 3), se un paese riceve un aiuto dal Mes «a titolo precauzionale», la Commissione europea deve sottoporre quel paese a «sorveglianza rafforzata». Quest’ultima, se l’economia dello Stato in questione dovesse avere effetti negativi sull’area euro, potrebbe portare (art. 3, par. 7) la Commissione a proporre l’introduzione di «misure correttive precauzionali o di predisporre un progetto di programma di aggiustamento macroeconomico».
Nella già citata lettera di Dombrovskis e Gentiloni, la Commissione europea ha però specificato che queste disposizioni non saranno attivate per quanto riguarda il Pandemic crisis support.
L’introduzione di ulteriori e pesanti condizioni resta dunque molto improbabile. Come hanno sottolineato alcuni esperti, rimangono comunque dei margini di incertezza dovuti al fatto che con l’introduzione del Pandemic crisis support siamo di fronte a interventi di soft-law, privi di un’efficacia diretta e vincolante. È anche vero che in passato altri interventi significativi in ambito europeo sono arrivati con atti politici prima che giuridici.
In ultima battuta, facciamo notare che l’assenza di ulteriori condizioni future per il Pandemic crisis support è stata sottolineata, tra gli altri, dallo stesso governo italiano, nel Programma nazionale di riforma deliberato dal Consiglio dei Ministri a luglio scorso; dal Parlamento europeo; dalla Banca d’Italia; e dall’Ufficio parlamentare di Bilancio.
5. Quali sarebbero i vantaggi economici del Mes?
Secondo i favorevoli alla richiesta di aiuto al Mes, l’elemento più attraente del Pandemic crisis support riguarda i benefici di tipo economico. In breve: il Mes farebbe risparmiare all’Italia moltissimi soldi e quindi non ha senso non prendere in considerazione il suo potenziale supporto.
Come abbiamo detto in precedenza, il Mes – che ha alle sue spalle i 19 Stati membri dell’area euro – è considerato molto affidabile sui mercati. L’agenzia di rating Fitch gli ha dato una tripla AAA (il grado massimo di affidabilità) per gli investimenti a lungo termine, mentre l’agenzia di rating Moody’s un’AA1 (il gradino subito sotto la tripla AAA).
Questo ha un risvolto concreto sulla capacità del Mes di raccogliere soldi sui mercati a tassi di interesse molto vantaggiosi, addirittura negativi negli ultimi mesi. E questa vantaggiosità si ripercuote, a sua volta, nei confronti dei paesi che chiedono aiuto al Mes.
In base ai dati di fine luglio, il Mes aveva la capacità di emettere obbligazioni a 10 anni con tassi del -0,26% e a 7 anni con tassi del -0,41%. Questi costi di raccolta, negativi, sarebbero poi trasferiti ai paesi che chiedono aiuto al Mes, che devono pagare altre tre spese aggiuntive: un margine annuale dello 0,1%; una commissione iniziale dello 0,25%, che annualizzata vale lo 0,036% per un prestito a 7 anni e lo 0,025% a 10 anni; e una commissione annuale dello 0,005% (Figura 3).
In sostanza, se un paese avesse chiesto aiuto a fine luglio al Pandemic crisis support, avrebbe affrontato un costo negativo del -0,12% per un prestito a 10 anni e del -0,26% per un prestito a 7 anni. Avrebbe, insomma, ricevuto dal Mes più soldi di quelli che gli avrebbe dovuto restituire.
Uno scenario simile sembra a prima vista molto conveniente per l’Italia, che ha tra i tassi di interesse più alti in Europa per l’emissione sui mercati di titoli a 7 e 10 anni.
A giugno, il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri aveva detto che l’Italia avrebbe risparmiato circa 5 miliardi di euro di interessi sul debito – stima confermata anche da addetti del Mes – se avesse raccolto 36 miliardi per la sanità dal Pandemic crisis support invece che sui mercati. Stiamo parlando di circa 500 milioni di euro l’anno, una cifra non da poco, ma che corrisponde comunque a meno dell’1% sui 60 miliardi di euro di spesa del 2019 per gli interessi sul debito pubblico italiano.
È però anche vero che da maggio – ossia da quando è diventato operativo il Pandemic crisis support – ad oggi sono arrivate diverse novità. In primo luogo, i tassi di interesse dei titoli di Stato italiani a 10 anni sono calati negli ultimi mesi, toccando lo 0,8% circa intorno al 29 settembre. Quindi al nostro Paese ora costa meno finanziarsi sui mercati, a livelli però ancora lontani da quelli con cui si finanzia il Mes. In secondo luogo, è stato raggiunto l’accordo per la creazione del Recovery fund – o meglio, Next generation Eu – un fondo europeo da circa 750 miliardi di euro e da cui l’Italia potrà, secondo alcune stime, beneficiare di circa 209 miliardi di euro, in parte composti da prestiti e in parte da sussidi a fondo perduto. Inoltre, la Banca centrale europea ha notevolmente rafforzato il suo piano di acquisto dei titoli di Stato dei paesi Ue con il Pandemic emergency purchase programme (Pepp), che dovrebbe durare fino a giugno 2021.
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Secondo alcuni, la vantaggiosità economica del Mes – seppure resti ancora valida – sembra dunque essersi ridotta rispetto a mesi fa. E c’è poi un’altra questione “finanziaria” su cui si dibatte.
Il Mes è infatti un creditore privilegiato (o “senior”): un suo eventuale prestito dovrà essere ripagato dall’Italia prima di quelli ricevuti dal nostro paese da altri soggetti. Che conseguenze potrebbe avere questa caratteristica (che tra le altre cose vale anche per i prestiti del Sure, il fondo europeo per l’occupazione da cui l’Italia riceverà oltre 27 miliardi di euro)?
Se il nostro paese chiedesse aiuto al Pandemic crisis support, gli investitori che volessero acquistare titoli di Stato italiano saprebbero che il proprio credito sarebbe subordinato a quello del Mes. E questo potrebbe portare a un rialzo dei tassi di interesse, visto il maggiore rischio di essere pagati “dopo”.
Va ricordato però che stiamo parlando di circa 36 miliardi di euro di prestiti, su un debito pubblico, quello italiano, che a luglio 2020 (ultimi dati più aggiornati) superava i 2.560 miliardi di euro.
6. Che cosa c’entra l’effetto stigma?
Per quanto riguarda un’eventuale reazione dei mercati alla richiesta di aiuto al Mes da parte dell’Italia, c’è anche il potenziale effetto “stigma” che una scelta del genere potrebbe causare al nostro paese.
Secondo alcuni osservatori, il ricorso al Pandemic crisis support potrebbe dare un brutto segnale ai mercati, facendo passare il messaggio che non si è in grado di finanziarsi in modo ordinario con le aste dei titoli di Stato sui mercati, causando un aumento dei tassi di interesse.
Secondo altri esperti, invece, questa obiezione non starebbe in piedi. In primo luogo, perché il Pandemic crisis support non è uno strumento tradizionale del Mes, e l’assenza di condizionalità – al di là di quella per spese sanitarie – azzererebbe il rischio stigma. In secondo luogo, perché i mercati potrebbero addirittura vedere di buon occhio il ricorso di un paese a uno strumento vantaggioso, che gli fa risparmiare molti soldi. Tra l’altro, per il Sure della Commissione Ue non si è parlato di alcun effetto stigma, nonostante i soldi di quel fondo siano molto simili come caratteristiche a quelli del Pandemic crisis support.
Nel caso in cui l’effetto stigma diventasse realtà, basterebbe però un leggero aumento dei tassi di interessi italiani per ridurre o azzerare i risparmi conseguiti con l’accesso al Mes.
Tutto quello che abbiamo visto finora – lo scontro tra pro e contro, a livello normativo ed economico – fa capire quanto peso abbiano gli argomenti politici, oltre a quelli finanziari, su un’eventuale scelta definitiva del governo italiano di chiedere aiuto al Mes o meno. Ed è qui, infatti, che l’esecutivo Conte è spaccato ormai da mesi.
7. Qual è la posizione dei partiti italiani e degli altri paesi europei?
Come abbiamo già accennato in precedenza, il Partito democratico è da tempo favorevole alla necessità di prendere i circa 36 miliardi di euro del Pandemic crisis support. Recenti dichiarazioni del Pd a favore del Mes sono arrivate, tra gli altri, dal commissario europeo per gli Affari economici Paolo Gentiloni e dal presidente del Parlamento europeo David Sassoli.
Sulla stessa linea è l’altro partito di maggioranza, Italia Viva di Matteo Renzi, che a inizio giugno scorso ha presentato un piano con le varie voci di spesa secondo cui andrebbero utilizzate le decine di miliardi del Mes.
Il Movimento 5 Stelle è invece ancora contrario a questa soluzione, dicendosi nelle ultime settimane più concentrato su come utilizzare i futuri soldi del Recovery fund.
Gli esponenti di Liberi e Uguali che sostengono il governo Conte II hanno posizioni più eterogenee: il ministro della Salute Roberto Speranza è per esempio favorevole al Mes; il deputato Stefano Fassina si è detto più volte contrario.
Anche l’opposizione di centrodestra è spaccata sul tema. Da un lato, c’è Forza Italia, che come Pd e Italia Viva è a favore del Pandemic crisis support. Dall’altro lato, ci sono la Lega di Matteo Salvini e Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, da sempre ostili al Meccanismo europeo di stabilità, visto come un potenziale pericolo per il nostro paese.
Ad oggi, comunque, l’Italia sembra essere in buona compagnia: nessun altro paese europeo ha infatti fatto richiesta di aiuto al Pandemic crisis support.
Discorso diverso vale invece per i prestiti del Sure, che per certi versi sono molto simili a quelli del Mes per la COVID-19. Il fondo della Commissione europea, per il momento, aiuterà 15 Stati membri, tra cui Spagna, Grecia e Portogallo, per finanziare misure di sostegno al mercato del lavoro, come la cassa integrazione.
Per quanto riguarda il Pandemic crisis support, nessun paese europeo sembra pronto a fare il primo passo, sebbene a diversi Stati converrebbe in termini meramente economici.
Nei mesi scorsi, paesi come Portogallo, Spagna, Grecia e Francia hanno preso posizione sul tema, dicendosi non interessati a chiedere aiuto al Mes. La spiegazione di questo atteggiamento forse sta nel generale calo dei tassi di interesse sui mercati nell’area euro, e sulla riduzione dei costi di finanziamento sui mercati, o sulla paura dell’effetto stigma.
In generale, sul Mes, aleggia una reputazione non sempre positiva, se non addirittura dichiaratamente negativa, sulla base di quanto avvenuto negli anni passati. Vediamo brevemente il perché.
8. Chi è stato aiutato in passato dal Mes?
Dal 2012 – anno della sua nascita – ad oggi, il Mes ha aiutato tre paesi: Spagna (dicembre 2012), Cipro (maggio 2013) e Grecia (agosto 2015). Per quest’ultima, si trattava del secondo aiuto “europeo”, dopo quello di febbraio 2012 arrivato dall’European financial stability facility (Efsf), uno strumento temporaneo di sostegno creato nel 2010; prima ancora, era arrivato l’aiuto del Fondo monetario internazionale. L’Efsf nel 2011 aveva aiutato anche l’Irlanda e il Portogallo.
Tra questi cinque paesi – beneficiari del Mes o dell’Efsf – la Spagna ha fatto ricorso agli aiuti per la ricapitalizzazione indiretta dei suoi istituti finanziari, mentre gli altri quattro hanno avuto accesso ai prestiti con programmi di aggiustamento macroeconomico.
Il caso emblematico che “spaventa” quando si sente il nome del Mes è quello della Grecia, perché il programma di aiuti datole dall’Europa – e sottoposto al controllo della famigerata Trojka – è stato molto duro in termini di condizioni, per esempio di riforme e tagli.
Come abbiamo spiegato sopra, però, il Pandemic crisis support è un nuovo strumento, diverso da quelli utilizzati in passato. Tra l’altro, nessun paese ha mai fatto accesso alle linee di credito precauzionali, quindi non si ha la possibilità di fare confronti.
9. Quali partiti italiani hanno avuto un ruolo nella storia del Mes?
Prima di arrivare alle conclusioni, riassumiamo qual è stata la storia del Mes, visto che periodicamente si fa confusione su quali partiti e politici italiani hanno giocato in passato un ruolo di primo piano nella sua creazione.
Il Trattato che ha istituito il Mes è stato firmato il 2 febbraio 2012, quando al governo in Italia c’era l’esecutivo tecnico di Mario Monti. Ma in realtà il Mes poggia le sue radici negli anni precedenti.
A inizio 2010, infatti, diversi paesi europei – in particolare la Grecia – furono travolti da una forte crisi economica; al governo in Italia c’era il centrodestra di Silvio Berlusconi, con la Lega e con Giulio Tremonti ministro dell’Economia, a rappresentare il nostro paese nelle trattative europee.
A maggio 2010 furono creati due strumenti temporanei di aiuto finanziario: l’European financial stabilisation mechanism (Efsm) e il già citato European financial stability facility (Efsf). A ottobre dello stesso anno, però, era stata avanzata la proposta di creare un meccanismo permanente (quello che sarebbe stato poi il Mes), ma questo richiedeva una modifica dei trattati europei.
A marzo 2011 arrivò questa modifica in sede europea (nell’art. 136 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea che abbiamo visto per la questione “condizionalità”), mentre a luglio di quell’anno Tremonti firmò una prima versione del Trattato per la creazione del Mes, che però non è mai entrato in vigore. Come ha spiegato nel dettaglio Pagella Politica, questa prima versione conteneva già molti degli elementi del funzionamento del Mes che sono poi stati confermati nella versione definitiva di febbraio 2012 (per esempio, le condizioni rigorose per i prestiti).
Ad agosto 2011, il Consiglio dei ministri con a capo Berlusconi – e con l’attuale leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni all’epoca ministra della Gioventù – approvò un disegno di legge per ratificare la modifica dei trattati europei che consentiva la creazione del Mes.
Questo disegno di legge fu poi approvato dal Parlamento italiano a luglio 2012, insieme a quello per la ratifica del Trattato sul Mes, firmato da Monti a febbraio di quell’anno. Al governo, come abbiamo visto, c’era Monti, ma in Parlamento il Mes trovò i voti favorevoli del Partito democratico e di buona parte del Popolo della libertà. La Lega votò contro, mentre il Movimento 5 stelle non era ancora entrato in Parlamento.
Nell’autunno 2019 in Italia si è poi tornati a parlare molto di Mes: una sua proposta di riforma in sede europea (qui i dettagli spiegati in un approfondimento dalla Banca d’Italia) ha infatti trovato un dura opposizione da parte di partiti come la Lega e Fratelli d’Italia. Ma ad oggi il processo di riforma è rimasto in sospeso.
10. Quali saranno i prossimi passi?
Riepilogando: dal Pandemic crisis support l’Italia potrebbe ricevere in prestito circa 36 miliardi di euro, da utilizzare per spese dirette e indirette in ambito sanitario e legate all’emergenza COVID-19. Questa è l’unica condizione imposta per accedere agli aiuti del Mes, anche se esiste un ridotto margine di incertezza sull’improbabile introduzione di ulteriori condizionalità in futuro.
Questo elemento viene utilizzato dai contrari al Mes (come Lega, Fratelli d’Italia, ma anche Movimento 5 stelle), in risposta a chi dice che il nostro paese potrebbe risparmiare centinaia di milioni di euro in interessi sul debito ogni anno prendendo i soldi del Pandemic crisis support.
Il vantaggio economico del Mes sembra per alcuni molto attraente, anche se si è ridotto negli ultimi mesi, sia con la riduzione dei costi di finanziamento sui mercati per l’Italia sia per le novità arrivate dall’Europa, come l’accordo sul Recovery fund da 750 miliardi di euro (di cui circa 209 miliardi dovrebbero spettare all’Italia).
I prossimi passi legati a una possibile richiesta di aiuto al Pandemic crisis support sembrano dipendere fortemente proprio dal Recovery fund. L’Italia sta preparando una bozza di piano da presentare alla Commissione europea da metà ottobre in poi, per spiegare come intende utilizzare i soldi del fondo europeo nei prossimi anni.
Ricordiamo però che mentre i soldi del Mes sono ottenibili in breve tempo – al netto che anche per il Pandemic crisis support va preparato un piano di spesa – quelli del Recovery fund arriveranno molto probabilmente nella prima tranche dalla seconda metà del 2021. E non sono mancati negli ultimi giorni dei rallentamenti su questo fronte in sede di trattativa europea.
Il 22 settembre, il segretario del Pd Nicola Zingaretti ha detto che sul Mes era necessario discuterne nel «prossimo Consiglio dei ministri», mentre il presidente del Consiglio Giuseppe Conte lo stesso giorno ha ribadito che «prima bisogna elaborare un piano per rafforzare la sanità, dopodiché andremo a vedere quanto costa questo piano. Sì Mes e no Mes è una questione pregiudiziale su cui non mi pronuncio. Se e quando si porrà il problema lo risolveremo in Parlamento in trasparenza». Come abbiamo già visto, il capo politico del M5s Vito Crimi si è detto contrario.
Domenica 4 ottobre dovrebbe tenersi un Consiglio dei ministri, per approvare, tra le altre cose, la Nota di aggiornamento al Def, per aggiornare le previsioni economiche e gli obiettivi del governo per i prossimi mesi. Secondo indiscrezioni stampa, il Mes non sembra essere contenuto in questo documento.
Intanto, secondo i dati dell’Istituto superiore di sanità è trascorsa l’«ottava settimana consecutiva» in cui si è registrato in Italia un aumento dei contagi da nuovo coronavirus.
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